Il post di oggi non è un racconto per immagini, non è un articolo dove vi mostro qualcosa che ho fatto, ma è piuttosto una riflessione che voglio condividere con voi.
Mi sono ritrovata a pensare un paio di giorni fa a quello che è il mio lavoro, quale sia il ruolo del fotografo in una società come quella in cui viviamo.
Come ben tutti sappiamo, nel mondo dove siamo immersi realtà e virtualità sono estremamente connesse, tanto da confluire l’una nell’altra in certi momenti.
Siamo bombardati da una serie di immagini dove l’immediatezza sembra essere la prima necessità, armati dei nostri telefoni, scattiamo foto per postarle subito sui nostri social. Non ci godiamo il momento, siamo troppo concentrati sul mostrare agli altri quello che stiamo facendo.
Stiamo piano piano smarrendo il senso dell’attesa. Quante volte, a noi fotografi ma non solo, viene chiesto poco dopo aver fatto le foto quando sono pronte, quasi fosse una questione di secondi.
Questo senso di repentinità, la velocità in cui pretendiamo di avere le cose, crea un vuoto.
Un vuoto di emozioni, di valori, di ricordi. Ottenere le cose il più velocemente possibile, ci fa perdere il valore dell’attesa.
Attendere qualcosa fa sì che le emozioni, i pensieri, si sedimentino in noi. Attendere per vedere una fotografia che ci hanno scattato, porterà poi un effetto amplificato in noi, perché nel momento in cui abbiamo prima aspettato, abbiamo avuto il tempo di vivere le emozioni del momento, di farle nostre.
Prendere in mano, toccare la foto stampata, a posteriori, ha la capacità di farci rivivere il momento, di farci riconnettere con le nostre emozioni, con il nostro vissuto. Quando otteniamo subito una fotografia, non riusciamo a darle lo stesso valore che avrebbe avuto altrimenti se avessimo dovuto aspettare per averla.
Non perdiamo il valore dell’attesa.
